Io Almasri vendo uomini e non sono innocente, è un parafrasi del titolo di uno dei libri più belli scritti sull’argomento, a firma di Francesca Mannocchi (Io Khaled vendo uomini e sono innocente). Cavillo sì, cavillo no, la vicenda del rilascio di Almasri non può non lasciarci sconcertati. Non solo perché anche gli esponenti di governo più moderati sono scivolati con affermazioni al limite del comprensibile (“L’Aja non è il verbo né la bocca della verità”), ma perché è la riprova che al di là dei colori di partito l’Italia – negli ultimi dieci anni – non ha mai cambiato linea sulla gestione della cosiddetta emergenza migranti. A nulla sono valsi i continui appelli della società civile.
E come in ogni storia, c’è anche un lato tragicomico della vicenda, Almasri, l’uomo “pericoloso” espulso dal’Italia nonostante un mandato della Corte Penale Internazionale, come riportato sul Corriere, è stato arrestato a Torino perché era lì per Juventus-Milan [sic!]. Sempre sul Corriere si chiede Ferruccio de Bortoli: “Chissà cosa avranno pensato della serietà del nostro sistema giudiziario, dei valori occidentali, del rispetto dei diritti universali della persona, i suoi sodali che lo hanno accolto in patria come un eroe dopo essere sceso da un aereo di Stato pagato da tutti i contribuenti italiani?”
Un tema, quello dei migranti, che nei fatti trova d’accordo le aree politiche più diverse (vedi tutte le firme degli accordi con i governi libici), ma divide ancora l’opinione pubblica – sempre che ne esista una – tra indifferenza, mobilitazione (solo sui social) e qualche anima bella (leggi Schiller: l’anima che “non ha altro merito che quello di esistere”) che ci dona un testimonianza di carne, come nel caso di David Yambio, sudanese, attivista dell’Ong Sea Watch e portavoce di Refugees in Libya che ha raccontato – lo trovate su molte testate giornalistiche (ad esempio Avvenire), non sui rotocalchi ovviamente – il ruolo del generale riportato in Libia. Buona lettura, ma fatelo prima di sedervi a tavola.
di Luca Servidati
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