beja: la musica non conosce confini

2 Maggio 2023

Da un attento ascoltatore presente il 30 aprile al concerto di beja:

E’ domenica pomeriggio di primavera. Il cielo sembra promettere pioggia. Ci sono dei ragazzini che giocano a pallone. Lì fuori quei giovani calciano e sembrano agitarsi come degli aspiranti campioni. Noi qui, in un salone di accoglienza, siamo di fronte a tre uomini che, ritrovatisi oggi dopo tempo, promettono di suonare.

Ashti è un uomo che viene dal Kurdistan siriano. E’ qui nella nostra città e vuole darci un’idea della sua terra, della sua gente. Poche parole di presentazione di chi ha chiamato i musicisti presso questa struttura che accoglie e ascolta le persone con vari tipi di disagio e che accoglie la marginalità della notte. Ashti inizia a pizzicare il suo tembùr. Seguono il pianista ed il percussionista.

Chiudo gli occhi e non mi pare più di percepire la presenza di altri nella stanza ma si figura nella mia mente un paesaggio ondulato, un po’ roccioso ricco di ulivi e armenti. Sembra un luogo suggestivo tuttavia non si possono non percepire, in lontananza i suoni di molte guerre, i sentieri di molti cammini di fuga alla ricerca, finalmente, di un luogo che possa serenamente chiamarsi casa. Molti rifugi, molte notti insonni nelle quali si innalza una voce che sembra salmodiare al cielo la preghiera per il proprio popolo. Una lingua che non si può parlare ma che giunge al cuore con il suo suono bitonale, lirico ed ondulato o gutturale e quasi ancestrale.

Le note si sciolgono in una corrente furiosa e ritmata o si nascondono nel richiamo misterioso del vento del deserto. Apro gli occhi. I bambini sono ancora lì a muoversi, maldestri, sull’erba. Io sono ancora lì ad ascoltare ma il mio animo sembra, per un momento, rimanere strozzato nella nota finale del terzo brano, suonata dal piano dopo una breve pausa. Suonata dopo che la musica ha cambiato i ritmi, le melodie e il suo vagare nel nostro immaginario. Ogni cosa si è conclusa nello smorzarsi di una nota come l’incompletezza della vita senza la libertà di essere riconosciuti. Una vita che esiste a metà.

L’harmonium portatile indiano sembra ispirare il percussionista che mi ricorda Trilok Gurtu (importante percussionista jazz). Comincia a far cavalcare i tamburi come dei cavalli che galoppano sulle colline di Afrin ma poi, si interrompe per cambiare direzione, stile e modo di procedere. Tutto sembra volerci raccontare un viaggio, un percorso. Ogni nota sembra muovere una parte confusa del nostro animo che sembra spesso ribollire in un magma che cerca uno sfogo, una quiete.

Il concerto finisce, i ragazzi hanno lasciato il campo. Ci fermiamo a parlare. Mentre parlo con Ashti mi sale una strana commozione, apparentemente senza motivo ma che è il risultato di quelle note, di quelle parole antiche, di quelle melodie martellanti, di quel canto salmodiante. Nella sala che ci ha ospitato c’è scritto “ l’amore non ammette alibi” mi piace aggiungere, dopo l’esperienza fatta, che la musica non conosce confini e può irrompere nell’animo di tutti coloro che sono in grado di ascoltare.

Alcuni scatti

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