Gisèle: Mi racconto, ti racconto

5 Marzo 2021

La mia idea era l’Europa:l’unica possibilità è stata l’Italia perché allora c’erano i “flussi migratori”. Correva l’anno 2012. Perché Lodi? Lodi perché un’amica mi ospitava in attesa di una sistemazione definitiva. Già dai primi giorni ho cominciato a pensare come far diventare questa occasione la mia integrazione in una società e cultura diverse. 

Ho pensato che la formazione fosse la chiave per entrare in questo mondo. Un corso OSS, perché? Inizialmente per potermi mantenere con uno stipendio. Prima della scuola ho trovato un lavoro a ore come badante presso una signora di Lodi colpita da un ictus. Nel cercare di capire e anche sapere come comportarmi, il mio interesse è aumentato verso una attività di assistenza, quindi ho scelto il corso OSS. Per poter cominciare con stabilità sia a lavorare che a frequentare il corso avevo bisogno anche di una stabilità abitativa, quindi mi sono rivolta al centro d’ascolto Caritas e di conseguenza sono stata subito accolta presso la casa d’accoglienza femminile san Giacomo.

Io ospite

Mi sono trovata a casa, è difficile da capire perché vivere in comunità vuol dire condividere, adattarsi, adeguarsi, mettersi a disposizione e “mandare giù”. Ma io ero già allenata, ritrovavo la mia tribù africana. In Camerun vivevo in una famiglia che qui si chiama allargata e che là era formata da 50 fratelli. Vivendo con tante persone e con dei genitori a cui chiedere permessi, io ho solo cercato di vivere qui come vivevo a casa mia. Questa cosa mi ha dato coraggio, ho cercato prima di tutto di “non tirarmi indietro” anzi di lanciarmi anche in attività utili per me (per inserirmi) e per gli altri (per accogliermi). Intanto frequentavo al CFP di Lodi il corso OSS, ho studiato e fatto tirocinio per 13 mesi e dopo finalmente la qualifica. 

La prima esperienza da Operatrice Socio Sanitaria è stata una “borsa lavoro” fatta a Paullo presso una Residenza per Disabili gestita dalla Cooperativa “Il Carro”. L’esperienza è durata 6 mesi. In questo tempo ho fatto varie attività di volontariato sociale a Lodi con varie associazioni che operano in questo campo: il Centro di raccolta solidale, la Caritas e le Suore di Sant’Anna (suor Rosalia) per mediazioni culturali presso la sede, ma anche presso le Istituzioni (Questura, Comune, ASL, etc.).

Tutto questo “vivere” con gli altri e lanciarmi in varie attività hanno portato la Caritas ad offrirmi diverse opportunità lavorative. All’inizio con rapporti occasionali poi, dal 2017, da dipendente. Il mio compito oggi in Caritas è diviso in due attività principali.

La mensa

Il servizio della mensa è offrire un pasto caldo 2 volte al giorno a chi non se lo può permettere: dietro a questa cosa che sembra una attività normale c’è tanta responsabilità. La mensa è aperta a tutti, ma i “maggiori” frequentanti sono uomini “africani”, “comandanti”, “tutti di un pezzo”. Trovando una donna africana molto decisa ad organizzare e a far rispettare le regole, a “dire no”, “non si fa”, “non si può”, si sentono “piccoli”, forse un po’ meno uomini, quindi le reazioni non sempre sono piacevoli.

Vista la situazione, poco alla volta ho dovuto prendere coscienza che avere un “pugno duro” a volte serve. Ho preso coscienza di questo poco per volta anche perché ho dovuto prendere coraggio nell’imparare che una donna vale quanto e, se organizzata, più di un uomo. Questo percorso non è servito solo a me, ma anche gli ospiti più assidui hanno imparato soprattutto: il rispetto per il ruolo che uno ricopre, che sia un uomo o una donna. Questo impegno comporta due turni giornalieri e occupa quasi metà delle mie ore contrattuali. Questa esperienza non è solo il “piatto caldo” ma dà occasione di sentire il calore di famiglia, di incontro, di condivisione sia con gli ospiti che con i volontari. Mi piace pensare che chi frequenta la mensa abbia almeno 2 ore al giorno di tranquillità. Soprattutto in questo periodo di emergenza avere un posto di riferimento diventa importante. 

Casa di accoglienza femminile San Giacomo

Come detto, conoscevo già la casa perché all’inizio della mia vita in Italia ne ero stata ospite, però adesso il ruolo in questo posto cambia. Adesso vesto l’abito dell’educatrice e dell’operatrice. Infatti, da circa 2 anni, quando le suore hanno lasciato la casa, nuove operatrici della Caritas sono entrate in gioco per la sua gestione. Avendo adesso un ruolo operativo comprendo le difficoltà che lamentavano le suore. Vivendo in una casa tante ragazze e donne che portano con loro esperienze di vita differenti, modi di vivere diversi, culture varie, la convivenza diventa complessa.

Il pasto che sembrerebbe una cosa semplice si dimostra invece una delle cose più complesse.

Ogni ospite vorrebbe sfamarsi con il cibo di “casa sua”, vivendo in comunità (tante bocche, tanti gusti) cucinare per ogni ospite è impossibile. Ho pensato come poter migliorare questo aspetto perché penso che il mio ruolo richieda anche di dover risolvere questi problemi. Quindi ho cercato di prendere le ricette classiche italiane e riadattarle rispetto al gusto prevalente africano. Questo non è sempre facile. 

Infatti, i riferimenti che le ospiti hanno, i loro gusti di casa, e quello che riusciamo a cucinare è un adattamento a questi gusti. Perciò, nonostante gli sforzi, c’è sempre qualche ragazza che si lamenta. La mia esperienza mi ha fatto riflettere circa la voglia che, io prima e le altre ragazze poi, possiamo avere nella nostra integrazione in Italia. Ho capito che, se anche veniamo dallo stesso continente e a volte dallo stesso paese, ognuna di noi è una persona diversa e in modo diverso viviamo questa esperienza. Chi a “casa sua” ha appreso dalla sua famiglia come comportarsi, come convivere, come approfittare delle occasioni, riesce a fare di questa esperienza una crescita personale e culturale. Chi invece cerca vita facile, “soldi” senza mettersi in gioco, potrà portarsi a casa poco o niente.

Gisèle Valerie Flore Heumen

Operatrice Caritas presso la Mensa e la Casa di Accoglienza Femminile  San Giacomo

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