Accoglienza: sì… Accoglienza: per quanto tempo? Accoglienza: come? Accoglienza: No… Nel diffuso dibattito attuale sul tema, le posizioni sono molte e diversificate, e talvolta difficilmente conciliabili, a livello di opinioni personali. Per confrontarsi sull’accoglienza, però, è importante dare un volto alle persone, partendo da una situazione di vita concreta.
Nelle sue accoglienze Caritas mette al centro la persona, la sua dignità, prima che la sua appartenenza: questo significa che in primo piano ci deve stare la tutela dei diritti di una persona. Una volta superata la fase di primo soccorso, il bisogno è quello di supportare queste persone nel processo d’integrazione culturale, sociale ed economico.
L’integrazione, infatti, resta lo strumento più efficace per trasformare questa complessa sfida in un’opportunità per tutti. Promuovere l’accoglienza e la pacifica convivenza rimane uno degli obiettivi più importanti da raggiungere, sia per i migranti, sia per le comunità delle città e paesi che li ospitano.
Come Caritas Diocesana stiamo sperimentando anche in alcune parrocchie un’accoglienza diffusa, fatta di piccoli numeri, accompagnata da percorsi di integrazione e da una presenza importante di operatori e volontari. Sì, questa trama, intrecciata con la concretezza della vita quotidiana condivisa tra richiedenti asilo, operatori, volontari e comunità (cristiane e civili), ci conferma che è questa la strada giusta per restituire dignità alle persone che attraversano il Mediterraneo (rischiando tutto, in primis la vita) in cerca di un futuro migliore per sé e per i propri cari.
Occorre certamente ammettere che la diversità non è mai semplice da affrontare, e che i primi tempi di conoscenza richiedono forti motivazioni per uscire dai propri precedenti pensieri, dai pregiudizi, e mettersi in gioco mediante relazioni autentiche. La tentazione di chiudersi in sé stessi è quotidiana. Eppure questa accoglienza nelle comunità coinvolte si sta dimostrando la chiave di volta che abbassa la soglia della tensione sociale, proprio perché è la testimonianza storica di una accoglienza che si integra nei quartieri e nei paesi senza creare problemi di sicurezza o tensioni.
E guardando al futuro, cosa si intravede? Il flusso in ingresso verso il nostro Paese non è destinato a sparire, perché le migrazioni sono un fenomeno della nostra epoca (non un’emergenza degli ultimi mesi o anni), e sono frutto della sempre più profonda divisione fra ricchi e poveri sulla quale Papa Francesco non cessa di interpellare le nostre coscienze di credenti, e come il nostro Vescovo Maurizio ci ha ricordato nel corso della solenne celebrazione di giovedì 4 luglio, festa di S. Alberto Quadrelli Copatrono della nostra Diocesi: (cfr.)
“La carità della chiesa di Bassiano e Alberto non potrà essere occasionale, bensì organizzata, perseverante e lungimirante, attenta ai vicini (in particolare ai senza lavoro e alle famiglie) e a chi viene da lontano fuggendo la violenza in cerca di sopravvivenza. Senza mai dimenticare il di più che la deve distinguere, ossia il perché della vita da cercare ad ogni costo da chi la esercita e da chi la riceve. E “chi cerca trova” (Lc 11,10). È il “perché” a determinare il “come” si vive. I battezzati l’hanno trovato, anche se talora lo dimenticano. Devono gridarlo, specie ai giovani: è il Figlio di Dio e dell’Uomo, da amare perdutamente avendo Egli – per primo e gratuitamente – dato la vita per noi. Solo in Cristo è possibile sacrificarci nella croce della fedeltà, del perdono ricevuto da Dio e offerto, dell’abnegazione, della solidarietà. L’altro non sarà più ignorato, rifiutato, temuto, disprezzato ma semplicemente amato. Bassiano ed Alberto furono testimoni di questo “vivente perché”, nel quale abbiamo “il centuplo quaggiù e la vita eterna” (cfr Mc 10, 28-31).”
Articolo su il Cittadino (20.07.2019): Accoglienza: fatti non parole
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