Nuovi muri nuovi schiavi. Migranti, tratta e moderne schiavitù: nel mondo, sono oltre 40 milioni i nuovi schiavi. E sono sempre di più i nuovi muri. Muri reali e simbolici che contribuiscono a creare – anche in Italia – maggiore insicurezza delle migrazioni e costringono le persone ad affidarsi a intermediari pericolosi, esponendole al rischio di traffico di esseri umani e di gravi forme di sfruttamento.
L’8 febbraio anche noi abbiamo celebrato la Giornata mondiale contro la Tratta e l’abbiamo fatto grazie alle testimonianze di due nostre operatrici: Giulia Brè e Chiara Galmozzi. Riproponiamo qui di seguito il loro intervento comparso su Il Cittadino (edizione del weekend 9-10 febbraio) grazie ad un articolo di Eugenio Lombardo.
Fonte: Il Cittadino, 9-10 febbraio 2019.
La Giornata della tratta ricorda che la schiavitù non è ancora stata debellata nel mondo, meno che meno nella società civile, tanto che di fianco a noi ne vediamo costantemente drammatici esempi, e quando non ne siamo solo indifferenti, ne siamo complici o, nei peggiori dei casi, sfruttatori.
La tratta riguarda diverse situazioni: donne, soprattutto, le moderne schiave della prostituzione sui marciapiedi vicino casa; mendicanti, bambini, sfruttati in senso lato.
La Caritas lodigiana ha aderito ad un progetto che è innanzitutto di accoglienza, e conseguentemente di recupero e valorizzazione della dignità umana.
Sulla pagina odierna, ospitiamo gli interventi di due operatrici della Caritas lodigiana, Chiara Galmozzi e Giulia Brè, impegnate proprio in uno di questi ambiti, fra i più vulnerabili. Dalla loro analisi, dalla capacità di guardare ad un futuro veramente diverso eliminando alla base ogni forma di pregiudizio, possiamo apprendere situazioni talmente drammatiche che ci obbligano ad una scelta: rimboccarci le maniche per costruire quel Regno di cui tanto parliamo, ma di cui evidentemente ben poco continuiamo a capire.
Eugenio Lombardo
Dall’autunno del 2016 la Caritas Lodigiana ha firmato il sostegno al progetto “Mettiamo le ali – Dall’emersione all’integrazione”. L’iniziativa è sovra provinciale e ha come fine la realizzazione del Programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale a favore di degli stranieri e dei cittadini a cui spetta un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (vittime di tratta e grave sfruttamento che intendano sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di soggetti dediti al traffico di persone). Il progetto è realizzato dall’Associazione LULE Onlus e da altri partner attivi in regione Lombardia, cioè le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Lecco, Mantova e Pavia. Oggi siamo alle porte della nuova annualità, che inizierà il primo marzo.
A partire da quanto incontriamo nei nostri servizi di accoglienza abbiamo ritenuto importante sostenere questo progetto poiché è quanto mai necessario allargare la rete di aiuto e coordinare le azioni di primo contatto con le donne a rischio di sfruttamento. Il lavoro che sta alla base dell’identificazione dello stato di vittima e di accertamento della presenza dei requisiti per l’ingresso nei percorsi di protezione, è molto delicato e richiede capacità e conoscenza delle dinamiche, sia psicologiche che culturali, che sottendono lo sfruttamento. Offrire alle vittime protezione immediata, pronta accoglienza, assistenza sanitaria, psicologica e consulenza legale è il primo passo verso quanto l’emersione richiede. L’avvio dei programmi di protezione sociale avviene all’interno di comunità di accoglienza o attraverso la modalità della presa in carico territoriale. Solo attraverso la proposta di percorsi di formazione, inserimento sociale e lavorativo si può arrivare ad un’effettiva integrazione e autonomia personale, nonché a svincolarsi effettivamente dalle maglie dello sfruttamento.
Il lavoro di rete tra Caritas e la rete anti-tratta (l’interlocutore, per il nostro territorio, è la Fondazione Somaschi Onlus) è fondamentale, sia per monitorare le situazioni a rischio, sia per avere un confronto immediato con operatori che hanno professionalità sull’argomento. Se non ci fosse questa collaborazione, non potremmo fare accoglienza di qualità laddove intravediamo tali rischi. Per noi, in questi anni, è stata importante l’attività di formazione che questo progetto ci ha dedicato. Tessere le maglie di una fitta rete di servizi (pubblici e privati), informati e preparati è stato uno dei meriti di questo progetto.
Come operatrici di case di accoglienza ci aspetta un lavoro ancora lungo, nonché di capacità di ascolto e lettura di dinamiche non sempre visibili e così cristalline. La paura, i condizionamenti e i traumi che lo sfruttamento impone sono solo alcune delle conseguenze che vediamo snodarci sotto i nostri occhi. A volte siamo impotenti di fronte a tanta “oscurità”. A volte non ci resta che sperare che, da qualche parte, nel cuore e nella mente delle ragazze sia rimasto un pezzetto di speranza a cui aggrapparsi e da cui far partire un briciolo di fiducia per costruire una relazione che “riscatta”.
Chiara Galmozzi
Chi sono le donne vittime di tratta? Nella mia esperienza nella casa d’accoglienza femminile di Caritas Lodigiana ho potuto conoscere molte donne che da lì sono transitate, alcune si sono fermate pochi giorni e mi hanno solo dato il tempo di imparare il loro nome, altre lunghi anni e con loro è stato possibile fare un percorso insieme, almeno un piccolo tratto di strada.
Molte donne che ho conosciuto, provenienti dall’africa subsahariana, sono donne vissute in condizioni di povertà, senza poter andare a scuola, a servizio del marito in legami poligamici che le rendevano in parte schiave. Con loro è stato comunque abbastanza facile lavorare perché le vedevo cariche di una voglia di riscatto e dominate da una forte spinta volta all’emancipazione. Le ho seguite nel loro viaggio iniziatico ed ho appreso molto da loro.
Un altro genere di schiavitù è invece quella che ho intravisto nel lavorare con le donne vittime di tratta. Perché la tratta delle donne che si inseriscono nel circuito della prostituzione è molto più complessa e porta con se matrici culturali a volte difficili da comprendere. Innanzitutto possiamo circoscrivere la zona allo stato della Nigeria, nell’Africa occidentale, questa è la provenienza delle donne che abbiamo intercettato, non significa però che sia l’unica provenienza.
E’ una schiavitù da debito, questo significa che è revocabile. Le donne vengono adescate nel contesto d’origine per garantire la loro fedeltà al padrone, che è quasi sempre donna, la madame, e spesso vengono irretite con la promessa di un futuro come parrucchiere in Europa; a volte sono già schiave, vendute dalla propria famiglia povera ad un’altra ricca con la promessa di un guadagno facile ed un futuro migliore per tutto il nucleo famigliare d’origine della ragazza.
In alcune zone d’Africa viene fatto un giuramento, che è sempre stato un modo per sancire un contratto proprio perché in una cultura orale la parola ha sempre assunto un significato più pesante, performativo. In questo giuramento, alla presenza di un native doctor, uomo che riesce ad entrare in contatto con gli spiriti, viene chiesto alla donna di rispettare il patto in alternativa una serie di maledizioni si accaniranno su di lei. A questo contratto le donne restano agganciate psicologicamente fino a quando non hanno estinto il loro debito e le ripercussioni sul corpo e sullo spirito sono notevoli per colei che non riesce ad estinguere il debito o cerca di svincolarsi da tale patto suggellato. Non per tutte poi risulta possibile capire l’ammontare di questo debito poiché alcune di loro sono analfabete d’origine e non sanno contare. Certamente tutto questo è difficile da comprendere per noi che apparteniamo ad una società dove la razionalità è un valore fondante.
Quello che meraviglia è anche la rete che le circonda, organizzatissima, fatta di uomini, trolley, al servizio della madame. La donna che si trova nel circuito della tratta, appena sbarca, viene immediatamente ritrovata poiché ha con sé un numero da chiamare al quale ovviamente si affida ignara o meno del suo destino. Nella posizione in cui è, di totale indigenza e inconsapevolezza del cotesto nella quale si trova, non può che seguire tale indicazione. Solo con il tempo, quando riesce a comprendere in quale contesto sia arrivata e magari acquisisce un minimo di autonomia, allora può scegliere di provare a non starci. Il percorso è comunque in salita.
La povertà dalla quale arriva e l’obbligo morale che sente nei confronti della sua famiglia saranno comunque sempre fattori di spinta verso la possibilità dell’estinzione del debito. E poi vi sono oscuri fattori, che hanno a che fare con il magico ed il regno dell’occulto; forse appena intuibili se accettassimo il fatto che in questi luoghi ancora regna una cultura che è in comunione con la parte spirituale della vita, che ne sente le vibrazioni, con forza.
La sfida della relazione è comunque sempre entusiasmante. Proviamo a starci accanto.
Giulia Brè
Fonte: AgenSIR
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