fonte: Caritas Ambrosiana
La Caritas Ambrosiana si occupa di maltrattamento intra-familiare dal 1994, con un’apposita area e un servizio specifico (Se.D. – Servizio Disagio Donne).
Nel triennio 2009-2011 sono pervenute al Servizio 570 telefonate di richiesta di aiuto, 239 provenivano da donne italiane e 331 da straniere; l’ascolto e l’accoglienza delle loro richieste ha condotto a ospitare 36 donne in strutture residenziali della rete Caritas e ad accompagnarne 117 a livello territoriale, poiché disponevano di una situazione alloggiativa autonoma oppure non era necessario l’allontanamento dalla propria abitazione.
Questi dati sono solo la punta dell’iceberg; sappiamo infatti che sono molto di più le situazioni accolte nei Centri di ascolto della Diocesi, o ascoltate dai sacerdoti nelle parrocchie.
A livello generale non esiste una raccolta dati sistematica; secondo un’indagine Istat (2007) sono 6 milioni e 743 mila le donne tra i 16 e i 70 anni che dichiarano di essere state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita; solo nel 2012 più di 100 donne sono state uccise dai loro mariti, compagni, fidanzati. Le Nazioni Unite stimano che nell’arco della vita una donna su tre sarà maltrattata da parte di un membro della famiglia o di un conoscente.
Consapevoli di questa diffusione della violenza contro le donne, riteniamo di richiamare la comunità cristiana e civile a un rinnovato impegno per prevenire i comportamenti violenti, per riconoscerli e condannarli accogliendo la richiesta di serenità e liberazione dalla violenza da parte di quante la subiscono e da parte di quella società civile che si indigna di fronte a tali pratiche.
La violenza domestica assume molteplici forme: può essere fisica, economica, psicologica, sessuale. Se quella fisica è più facilmente evidente e accertabile, la violenza psicologica ed economica (altrettanto gravi in termini di danni e conseguenze) non sempre viene pienamente riconosciuta come modalità disfunzionale di interazione all’interno della coppia.
La violenza di genere, qualunque siano le modalità con le quali viene esercitata, ha come presupposto l’attribuzione alla donna di un ruolo subordinato rispetto all’uomo. In alcuni Paesi questa sperequazione si traduce nel godimento da parte delle donne di minori diritti; altrove, pur essendo la parità sancita per legge, tradizioni e costumi di stampo patriarcale perpetuano un modello culturale che svilisce le donne e ne prescrive la sottomissione agli uomini, i quali ritengono così di poter esercitare su di loro un potere arbitrario.
Tutte le forme che può assumere la violenza di genere hanno come comune denominatore l’assunzione della donna e del corpo femminile come mero oggetto: “qualcosa” che si può sopprimere, sfruttare, violare e assoggettare, perché percepito dagli uomini come strumento per i propri obiettivi e bisogni. Per queste ragioni la violenza contro le donne non è una questione che riguarda solo le donne o le donne da sole, o che riguarda il caso specifico nella sua dimensione privata, bensì riguarda tutta la società, perché ha una valenza collettiva che la porta fuori dalle mura domestiche. Inoltre riguarda donne e uomini insieme, richiamati alla vera sfida della parità e del rispetto reciproco da dimostrare nella quotidianità dei gesti, delle scelte, delle professionalità e del comune compito educativo nei confronti delle nuove generazioni.
La Caritas riconosce nella violenza di genere primariamente una violazione della dignità umana inscritta in ogni donna e uomo dall’atto creatore di Dio; ma poiché è l’uomo che agisce la violenza si può affermare che è soprattutto la dignità della donna ad essere violata, probabilmente si tratta della violazione più diffusa nel mondo e la più tollerata a livello sociale.
Papa Giovanni Paolo II affermava:
“Sono convinto che il segreto per percorrere speditamente la strada del pieno rispetto dell’identità femminile non passi solo per la denuncia, pur necessaria, delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma anche e soprattutto per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione, che riguardi
tutti gli ambiti della vita femminile, a partire da una rinnovata e universale presa di coscienza della dignità della donna.” (Lettera alle donne”,1995).
La denuncia della violenza e l’adozione di leggi per il suo contrasto rappresentano un punto di partenza imprescindibile, tuttavia un effettivo cambiamento nei rapporti tra uomo e donna è possibile solo attraverso un processo di messa in discussione dei meccanismi di prevaricazione e della cultura “machista” che confonde la “virilità” con la dimostrazione di forza e dominio, a scapito della capacità di riconoscere a tutti la libertà di autodeterminarsi. Togliere rispetto e libertà di scelta alla propria compagna è un crimine nei suoi confronti ed è, alla fine, anche un lasciarsi imprigionare, come uomini, diventando paradossalmente autori e servi di una cultura che offre schemi relazionali impoverenti e distruttivi per tutti. Per questo motivo gli interventi di contrasto alla violenza sulle donne sono efficaci nel tempo e a livello collettivo, solo se coinvolgono attivamente anche gli uomini, come destinatari, naturalmente, ma anche come esempi autentici e credibili di modelli positivi.
La Bibbia ci istruisce fin dalle prime battute che “Dio creò l’uomo a sua immagine; … maschio e femmina li creò” (cfr. Gen 1,27). Questo significa che l’immagine di Dio funziona solo nella relazione bella e armonica tra uomo e donna. Né l’uomo da solo, né la donna da sola sono immagine di Dio. La questione quindi è anche teologica. Se la relazione tra maschio e femmina che le nostre comunità cristiane fanno trasparire non è capace di parlare di bellezza e armonia, viene meno la capacità di dire “Dio” della Chiesa al mondo di oggi.
Questa riflessione è fondamentale per noi cristiani e ci interroga profondamente, portandoci a riflessioni e scelte sicuramente non facili. Ci è d’aiuto la riflessione recente dell’’Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti che in un suo documento[1] si esprime in modo chiaro: afferma che: “…La violenza all’interno del nucleo familiare rende impossibile l’autentica relazionalità interpersonale e crea pertanto una situazione in assoluta contraddizione con il matrimonio e – nel caso di battezzati – con la sua sacramentalità. Le relazioni di coppia e familiari improntate al dominio dell’uomo sulla donna e sui figli rendono vana la possibilità stessa per la famiglia di accogliere e trasmettere autenticamente il Vangelo.(…) L’intervento dei parroci e degli uffici pastorali nei casi di violenza domestica ha come primo obiettivo la salvaguardia e la tutela delle vittime. (…) L’obiettivo di “salvare il matrimonio” e ristabilire la coabitazione potrà ragionevolmente essere perseguito solo al termine di un percorso di ristrutturazione dei meccanismi di convivenza familiare.”
Pratiche di consapevolezza, senso di responsabilità, informazione. Occorre affermare che dalla violenza si può uscire. L’invito alla sopportazione, ancora così fortemente radicato nella nostra cultura, nega alla donna e agli eventuali figli dignità e diritto al benessere e alla serenità. Così facendo si stravolge l’immagine della famiglia come progetto d’amore a immagine, per i credenti, dell’amore di Dio.
Non si deve più tacere: la violenza va denunciata e le donne, tutte le donne, anche le straniere prive di permesso di soggiorno, devono sapere che ci può essere un futuro libero dalla violenza..
Sensibilizzazione. Occorre investire in campagne informative e di sensibilizzazione finalizzate a “interrogarsi” tutti, su ciò che accade: il maltrattamento evidenzia una mancanza di punti di riferimento valoriali della società nel suo complesso su cui la comunità cristiana e civile non possono chiudere gli occhi e non intervenire. Servono risposte e interventi che rinforzino la cultura della pari dignità e del rispetto incondizionato tra uomo e donna, nella ricerca di un modello di relazione fatto di accoglienza e di reciprocità. È un percorso lungo che interroga, sollecita e coinvolge sia le donne che gli uomini, sia come singoli individui, nella loro dimensione più intima e nelle loro relazioni personali, sia come cittadini e professionisti, chiamati a riconoscere l’aberrazione insita nei comportamenti di umiliazione e violenza, divenendo promotori di modelli costruttivi, rispettosi della diversità e, proprio per questo, liberanti per tutti.
A livello generale e collettivo la consapevolezza della violenza si raggiunge e si alimenta anche dotandosi di strumenti di ricerca e di monitoraggio: manca oggi un osservatorio permanente e una seria banca dati che accompagni le riflessioni.
Impegno a prendersi cura delle vittime della violenza. Sono necessarie prossimità concrete a partire da chi è più vicino: i colleghi, i vicini di casa, la parrocchia. Ciò è necessario ma non sufficiente: servono leggi e strumenti che tutelino quante subiscono violenza, e sostengano le strutture di ascolto e di ospitalità a cui le donne possono essere indirizzate e sostenute in un percorso di liberazione ed autonomia. Accanto alle riflessioni e allo studio, infatti, serve la concretezza della risposta efficace e complessiva. L’esperienza insegna che le donne vittime di maltrattamento per poter ripartire devono poter contare su un sostegno ad ampio raggio: psicologico, legale, economico, abitativo, oltre che sulla protezione, quando necessaria. Per questa ragione è opportuno che l’Italia ratifichi la Convenzione del Consiglio d’Europa “Sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” e che la Regione Lombardia attui quanto afferma la Legge N. 47 [2] approvata a Giugno 2012, dopo anni di gestazione. La legge regionale della Lombardia è un ottimo presupposto ma bisogna che diventi concreto ciò che la legge esprime in merito al riconoscimento del maltrattamento di genere come priorità nell’ambito delle politiche sociali, al riconoscimento del valore e quindi del necessario sostegno per gli interventi e i servizi che già da anni sono attivi sul territorio, allo stanziamento dei fondi necessari affinchè le dichiarazioni di principio si traducano in vera tutela per le donne in difficoltà.
La Lombardia, nonostante non avesse una legge né fondi a cui far riferimento, negli anni ha costruito reti di ascolto e accoglienza per le donne e i loro figli, reti di cui fanno parte Comuni e Province, Associazioni, Organizzazioni no-profit, nelle quali il mondo ecclesiale è ben presente a testimoniare la propria prossimità concreta. E’ un patrimonio di risposte e di testimonianza di una cultura del rispetto che non va a beneficio solo delle donne accolte ma della società nel suo complesso.
Mettere in atto pratiche educative e formative incentrate su alcuni valori cardine:
Tutte le agenzie educative sono chiamate a impegnarsi in questa direzione.
All’ente pubblico, infine, la responsabilità ultima e la regia di azioni che riguardano la vita di tutte e di tutti.
La Caritas Ambrosiana rinnova il suo impegno contro la violenza alle donne a partire dal loro ascolto, prestando attenzione e lasciandosi interpellare dalle loro situazioni e dai loro bisogni, costruendo le risposte con le donne stesse, accogliendo e valorizzando l’esercizio della loro libertà.
Inoltre rinnova l’impegno al confronto, alla riflessione condivisa tra enti e associazioni con origini e appartenenze diverse, nella convinzione che ciò sia ricchezza, oltre a rappresentare il “metodo” da cui non si può prescindere per offrire un reale ascolto e risposte adeguate alla sempre maggiore diversità e multiculturalità di cui le donne sono portatrici.
L’impegno politico della Caritas sta nella collaborazione fattiva, nel mettere la propria competenza al servizio perché la dignità di ogni donna sia pienamente rispettata.
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