A sessant’anni dalla firma del Trattato di Roma, atto istitutivo della Comunità Economica Europea, la Brexit apre le porte allo sgretolamento del progetto europeo. Si tratta infatti del primo stato comunitario che, per volontà popolare, rivendica la propria sovranità nazionale e, così facendo, infiamma i populismi degli altri stati membri.
Nel conseguente clima generale di diffidenza verso quello che rappresenta oggi l’Europa, Caritas Italiana ha interpellato le Caritas nazionali dei paesi membri su quale futuro si prospetta per l’Unione e se il ruolo ch’essa e Caritas rivestono può ancora dirsi decisivo nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale, come raccontato nel Dossier europa-Italia Caritas
Anche Caritas Europa per l’occasione ha pubblicato una nota.
Quello che viene dipinto è in realtà un quadro di positività e speranza per le sorti dell’Unione, nonché di profonda fiducia nei valori dell’unità, della solidarietà e della giustizia sociale ai quali essa deve continuare ad ispirarsi. Per capire i motivi dell’impasse subentrata all’indomani dell’inizio della crisi economica attualmente in corso, bisogna risalire a quei Trattati di Roma del 1957 che hanno aperto la via alla costituzione della Comunità Economica Europea. Due erano infatti le correnti di pensiero sul futuro dell’Europa che emergevano nel dopoguerra: una prevedeva la costituzione di un’Europa federale e dotata di una Costituzione, l’altra invece riteneva che l’integrazione politica sarebbe arrivata in seguito, come conseguenza dell’integrazione economica.
La nascita della CEE incorona questo secondo approccio, fautore di un’integrazione a piccoli passi che preserva le sovranità nazionali e le lascia alla guida del processo di integrazione. I malcontenti di oggi, che accusano l’Europa di essere governata da burocrati e banchieri, sembrerebbero suggerire che l’unione economica che abbiamo raggiunto non è più sufficiente e che è arrivato il momento di fare un passo verso un’Unione più sociale e solidale, un intento che le Caritas nazionali perseguono instancabili da anni, lavorando in prima linea per l’inclusione e il sostegno di coloro che vivono ai margini della società.
Quella che oggi chiamiamo Unione Europea è nata nel secondo dopoguerra, quando gli stati europei, stremati dal conflitto, maturarono l’idea di un progetto comune che impedisse lo scoppio di guerre future. Se quindi consideriamo questo il fondamentale obiettivo che sta alla base del progetto europeo, l’Unione Europea non ha fallito, anzi, è riuscita ad assicurare il più lungo periodo di pace che il continente abbia mai conosciuto. Ma la pace “non è semplicemente assenza di guerra, ma opera della giustizia” (cfr Is 32,17): i leader di ogni stato membro devono oggi più che mai lavorare nella sola direzione che possa garantire un’unità solida e feconda, quella di costruire un’Europa in cui ogni cittadino possa realizzarsi pienamente in virtù delle proprie potenzialità, in cui il progresso non sia solo un dato economico numericamente misurabile, ma inserito in un percorso di sviluppo prima di tutto umano, in cui nessuna voce rimanga inascoltata e sia promosso il dialogo come unico strumento per la risoluzione di conflitti e disuguaglianze sociali.
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