Bruxelles, Lipa

Lipa

Sono stata in Bosnia Erzegovina a inizio marzo. Una missione veloce ma ben organizzata, la prima dopo un anno di pandemia e quanto mai doverosa.
In Bosnia Erzegovina non c’è solo il campo di Lipa. Ci sono altri cinque campi o centri di accoglienza temporanea, concentrati per la maggior parte nei cantoni di Una Sana – come Lipa, al confine con la Croazia – o in quello di Sarajevo. C’è un campo anche nella diocesi di Mostar, un po’ più a sud. Non c’è solo Lipa, dunque, ma c’è certamente anche Lipa. Quando arriviamo lo scenario appare diverso rispetto alle strazianti immagini di un paio di mesi fa. E’ una bella giornata, il sole splende e le temperature si fanno più miti. La natura attorno a Lipa appare rigogliosa. Del resto il campo di Lipa è costruito nel bel mezzo di una valle collinare che apparirebbe vergine se non fosse per quei cartelli rossi inchiodati agli alberi che ricordano che il terreno – a 25 anni dalle fine della guerra – non è stato ancora bonificato dalle mine anti uomo. La strada di accesso al campo è in costruzione, «la stanno allargando» – penso – «si vede che il traffico verso il campo si sta intensificando».

La spianata del vecchio campo, quello bruciato alla vigilia di Natale, risulta ben visibile e ripulita dai detriti. Pronta per accogliere il nuovo campo che potrà ospitare fino a 1500 ospiti. Il campo attuale è dall’altro lato della strada. Ci sono le tende militari dove dormono i ragazzi, 30 in ogni tenda. Oggi ci sono 620 ospiti in tutto ma il numero fluttua continuamente, a causa delle partenze e rientri di chi tenta il game, verso la Croazia. Fino a qualche settimana fa, quando le temperature erano proibitive anche di giorno, gli ospiti del campo erano soliti passare le giornate interamente in tenda. Senza riscaldamento ma soprattutto senza niente da fare. In generale non riesco a non pensare allo spreco di potenziale umano in tutti i campi che visiteremo.

IPSIA e Caritas, grazie al partenariato con la Croce Rossa, sono riuscite ora ad installare questi tre grandi tendoni bianchi preziosissimi. Uno è destinato alla preghiera mentre un altro funge da refettorio e da punto di aggregazione, è qui che oggi avviene una distribuzione di vestiti. Con Silvia di IPSIA riflettiamo sulla necessità di collocare una lavanderia, attività fiore all’occhiello della Caritas locale negli altri campi. Purtroppo però la portata d’acqua attuale non lo permette.
I ragazzi ospitati vorrebbero poter cucinare da sè. Credo sia un’azione semplice che restituisce dignità ed è bello vedere che IPSIA stia costruendo delle cucine condivise per offrire questa opportunità. Sulla strada del ritorno continuo a pensare che ci sia troppo di sbagliato a Lipa. Mi resta comunque un senso di profonda gratitudine per chi ogni giorno e ad ogni ora cerca di renderlo un luogo un po’ più vivibile, accogliente e umano.

Autrice: Silvia Sinibaldi, lodigiana, lavora a Bruxelles in Caritas Europa come International Cooperation and Humanitarian Director.

Come puoi aiutarci?

In questo tempo di Quaresima è possibile donare per l’emergenza umanitaria in Bosnia grazie ai Regali Solidali e donare pasti che i migranti consumano nel nuovo refettorio costruito da Caritas e IPSIA.

Galleria di immagini da Lipa

20210304 124253 DSC00980 Silvia Maraone (Ipsia) e Silvia Sinibaldi (Caritas Europa) 20210304 124435
Ospiti di Lipa “aggiustati” al ritorno dal "game" e dal push-back (respingimento).

 

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Il campo di Lipa

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