Un po’ per caso mi ritrovo, su invito di un amico, a vivere questa originale esperienza ai piedi del ghiacciaio dei Forni o meglio ai piedi di quel che resta di quel vecchio ghiacciaio; il focus principale: l’ambiente, e tutto ciò che ne concerne, abbracciando la tematica trattata dall’enciclica Laudato si’ di cui devo ammettere non conosco approfonditamente i contenuti, ma l’idea mi piace e partecipo.
Siamo un gruppo di dieci giovani, arrivati il sabato [n.d.r. 24 luglio], dopo una notte passata al rifugio, l’indomani l’escursione consiste in una camminata di un paio
d’ore per giungere al ghiacciaio vero e proprio. Lungo i nostri passi, ad accompagnarci una guida alpina, Tullio, di cui ricordo volentieri la condivisione di istantanee di vita, per lui che montagna è sinonimo di casa. Fondamentale un’altra presenza accanto a noi, il prof. Smiraglia, glaciologo ed ex professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della terra “Ardito Desio” dell’Università degli Studi di Milano, il cui apporto è risultato necessario per una corretta lettura di un “lessico ambientale” di cui non siamo abituati, pronti e competenti da coglierne i tratti.
Difficile da parte mia trasmettere a parole la passione e la competenza con cui il professore ha caratterizzato la nostra giornata; davvero suggestiva la percezione avuta rispetto al fatto che tutto intorno a noi emetteva un messaggio, un chiaro messaggio di storia ricco di contenuto che non poteva essere trascurato. La mancanza di conoscenza del posto in cui si vive, dell’ambiente che si abita, corrisponde a non conoscere casa propria, corrisponde a non conoscere sé stessi.
Penso che un ghiacciaio non sia ambiente usuale neanche per coloro che della montagna ne hanno passione, al tempo stesso penso che qui, in cima alla vetta, si possa davvero toccare l’anima dell’ambiente.
In cima al ghiacciaio i segni tangibili di un cambiamento, che per natura durerebbe millenni, snaturato ed accelerato a consumarsi in pochi decenni o al più centinaia di anni. Potremmo definire il ghiacciaio un termostato, che non solo dà indicazione di una variazione più o meno ampia del sistema termodinamico di cui l’ambiente è governato, bensì anche la percezione del benessere o malessere che la natura sta vivendo. Nonostante la montagna a differenza del mare, ci riporti sempre a vivere una dinamica di trascendenza, raccoglimento e riflessione, rimango rapito nell’apprendere quanto concreta sia la comunicazione che questo ambiente rivolge all’uomo.
Il cambiamento climatico, tematica fortemente dibattuta negli ultimi decenni, specialmente negli ultimi anni, di cui sempre più evidenti e prorompenti sono gli effetti e le catastrofi che si riversano sulle nostre esistenze, viene spesso associato ad un’immagine impetuosa che la natura riserva all’uomo, trascurando il fatto che fenomeni che ci giunsero meno dirompenti, da far sì che non ne traducessimo il significato, celavano un messaggio molto più chiaro e definito. Non ha forse più impatto sulle nostre menti un fenomeno esplosivo rispetto ad una dinamica che si protrae su ampio arco temporale, la cui interpretazione richiede impegno, fatica e dedizione?! I ghiacciai sono chiari esempi di ciò che la natura ci ha comunicato con largo preavviso, ma che non abbiamo voluto ascoltare. Per quanto se ne sia parlato da decenni, lo scioglimento dei ghiacciai risulta per la mente umana un “non detto”, solo per una nostra mancata predisposizione nel cogliere un messaggio per sua natura poco sconvolgente, o almeno nel breve periodo.
Come poter trascurare l’impatto a lungo termine che fisiologicamente questo andamento ha, ha avuto già, ed avrà su innumerevoli ecosistemi, sulla termoregolazione del nostro ambiente e sulla naturale evoluzione del nostro pianeta Terra, solo per il semplice fatto che fino a poco fa tutto ciò non sembrava avere un impatto così distruttivo?
Camminiamo e prendo consapevolezza dalle parole del prof. Smiraglia, di quanto ci sia un legame forte tra uomo ed ambiente; rimango affascinato nell’ascoltare di quanti segni distintivi la natura ci circondi e di quanto poco siamo in grado di percepire. Grazie ad una spiegazione tecnica, ma non troppo – da parte del prof. – il gruppo entra in relazione con ciò sta che vedendo e vivendo in quel momento, da lì, inevitabile è la consapevolezza di quanto la storia dell’uomo sia strettamente caratterizzata e condizionata dalla storia dell’ambiente. Sorgono in me alcune considerazioni che vorrei condividere senza alcuna presunzione…
Nella dinamica temporale l’ambiente ha sempre dettato i ritmi all’uomo, dinamica completamente ribaltata negli ultimi secoli, laddove tecnologia, sviluppo, ed una loro non sempre opportuna applicazione, ha portato l’uomo a dettare legge, servendosi di una natura di cui trascurava l’appartenenza. L’umano estraniato dal contesto ambiente, si definisce elemento autonomo e non più interdipendente con esso, da qui la necessità di ripristinare la relazione; l’uomo non può trascurare la sua storia e la sua origine, snaturato della sua stessa essenza. Se tecnologia ed innovazione devono portare ad un benessere e ad un’evoluzione della storia dell’uomo, questo non può che sussistere in una dinamica di riconoscimento dell’uomo nell’ambiente, che non diventa più relazione di usufrutto ma relazione di Vita. L’incapacità umana ha portato a non percepire che la Vita è Ambiente, di questa cognizione l’uomo non può più privarsi. L’essere umano si è dunque privato non tanto dell’interazione con un elemento esterno a sé, bensì con sé stesso.
Solo giorni dopo, vedendo vecchie foto che Tullio ha condiviso con noi, realizzo quanto del ghiacciaio manchi e quanto sia venuto a mancare in così poco tempo per un contesto geologico. Realizzo che quella mancanza, così rilevante, è quasi, forse più imponente della montagna stessa. Se questa mancanza, questo silenzio, questo “non detto” sembrava non essere segno certo di una deriva, ora n’è innegabile l’evidenza. L’uomo non potrà più sottrarsi dal riconoscere casa propria, ma anche l’essenza stessa del suo essere fisico. Non potrà più scindere la propria storia, la propria evoluzione, la propria conoscenza di sé, dall’ambiente.
L’esperienza con Young Caritas, di cui ringrazio il mio amico, porta a me un’altra consapevolezza. Per quanto la relazione tra uomo ed ambiente possa rientrare in una sfera intima, personale ed individuale, a seconda dell’elaborazione che ognuno riesce a metabolizzare in sé, risulta imprescindibile il legame temporale, sociale ed evolutivo tra i due elementi, a tal punto da dover diventare consapevolezza collettiva. Il binomio “cambiamento climatico” – “nuove generazioni” è presto servito in una qualsiasi discussione riguardante tale tematica, come se in realtà noi avessimo già capito tutto; non solo diviene necessaria una nuova relazione uomo-ambiente ma il rinnovamento di una relazione tra l’uomo di oggi e l’uomo di domani, per non consentire che quel “non detto” o “non ascoltato” venga nuovamente taciuto.
Marco Magnani
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