Mi chiamo Francesco Holmes, ho 26 anni e lavoro da più di due anni in un CAS ( Centro di Accoglienza Straordinaria) della Caritas lodigiana. Sono figlio degli anni ’90, post caduta del muro di Berlino, e la mia vita si è svolta a pendolo tra la piccola mela ( alludo all’albero del melo cotogno, simbolo di Codogno, il paese di Mia madre, e dove vivo e lavoro) e la grande mela ( New York, la città di mio padre, dove ho vissuto a lungo e mi sono laureato in studi mediorientali presso la New York University).
Si è sempre trattato di adattarmi al “molto grande” e al “molto piccolo”. Come molti tra i migranti che dopo un lungo viaggio arrivano in Italia, nel Lodigiano, e si trovano in piccole, talvolta piccolissime realtà, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. Qui un vantaggio è senz’altro quello che la sfida per l’integrazione oltre a passare necessariamente per la regolarizzazione il lavoro e la lingua, può assumere una dimensione diretta e individuale. Sconfinati tenta di rompere il ghiaccio tra la comunità locale e i migranti, creando uno spazio comune dove finalmente ci si conosce di persona, facendo perno su forse l’unica differenza degna di nota: il trauma.
Il trauma della guerra, dei ribelli nel deserto, dei banditi in città, dei compagni, delle mogli, dei parenti, caduti sotto i machete o tra le onde, eventi che per nostra fortuna non sono parte della vita europea. Forse anche per questo siamo astrattamente assuefatti alle immagini, ai video, alle storie sulla violenza che accadono dall’altra parte del mare. Reduci da varie esperienze di sensibilizzazione nelle scuole, ci siamo accorti che, pur essendoci un genuino desiderio reciproco di incontrarsi, gli studenti erano in difficoltà ad ascoltare, e i nostri ospiti erano in difficoltà a raccontare. Ci è sembrato palese che la difficoltà dei ragazzi fosse soprattutto centrata sull’impossibilità di relazionarsi a storie cosi distanti dalle loro esperienze e, per quanto riguarda i nostri ospiti, non solo c’era la difficoltà nel raccontare qualcosa che si vorrebbe dimenticare, ma in più la netta sensazione che mancasse l’ascolto. Da qui Caritas Lodigiana porta un’interpretazione particolare all’installazione della Caritas Ambrosiana Sconfinati, che prova a mettere il “pezzo mancante”, in questo caso una performance molto forte, da parte dei nostri ospiti, operatori e attori, che interpretando trafficanti, soldati e banditi, coinvolgono direttamente il pubblico, facendogli vivere simbolicamente alcune situazioni vissute da loro stessi durante il viaggio.
La “violenza teatrale” porta a una certa intimità tra il pubblico e i nostri ospiti, che poi viene valorizzata nell’ascolto post-performance, quando il pubblico riesce ad ascoltare le storie vere dei migranti con naturalezza, e i nostri ospiti, che per lingua o condizione si trovano in difficoltà a comunicare sono finalmente al centro delle loro vite, non più materiale di scambio in Libia o materiale politico in italia, ma finalmente ascoltati per se stessi, resi riconoscibili con nomi e storie nella nostra piccola realtà.
Non è anche questa la nostra cultura, la nostra identità? Ascoltare racconti di guerra di traumi, di lotta per la sopravvivenza, identificarci con il Nessuno che molto ha sopportato per sopravvivere?
Paura e ospitalità sono i due pilastri del rapporto con lo straniero nella nostra cultura mediterranea: l’altro, colui che viene dal mare, può portare malattia, tradimento menzogna violenza, ma può essere anche un Dio travestito da mendicante, ricco di doni, o un essere umano che molto ha visto molto ha sofferto, a tutto è sopravvissuto, un eroe come Odisseo, o Nessuno. Sconfinati ci fa incontrare Odisseo fuori dai contorni del mito, ci fa incontrare un’esperienza che è nel cuore della più antica storia dell’occidente:
il naufrago che non parla se non è invitato a farlo, che piange prima di parlare, e quando infine lo fa, fa piangere tutti noi.
L’Italia non è costruita su muri divisori ma su un lavoro millenario di inglobamento di assorbimento di lingue, cibo, storie, idee, immagini: la storia dell’italia nazione è il proseguimento di questo processo attraverso I migranti italiani, e il passaggio di nuovi soggetti. Anche noi in questo modo tentiamo umilmente di contribuire alla nostra tradizione.
Francesco Holmes
Articolo comparso su il Cittadino del 05.10.2019 a cura di E. Lombardo.
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