Quando torni da una esperienza così non porti a casa uno zaino carico di certezze ma profonde domande che ti scavano dentro”. Sono queste le parole di Benedetta con le quali, appena rientrata dal Campo in Libano organizzato da Caritas Lodigiana e Caritas Lebanon Youth, ha voluto raccontare in sintesi la meravigliosa avventura che 14 giovani della nostra Diocesi hanno condiviso in terra medio-orientale. Partiti “Senza aspettative ma con tanta curiosità riguardo a ciò che sicuramente ci attendeva, riconoscendo i tanti limiti dettati dalla cultura e dal differente idioma” aggiunge Anna “Siamo atterrati in terra libanese il 25 luglio”.
Palesi le differenze di clima e cultura vinte immediatamente dalla capacità della comunità cristiana maronita di accoglierci ad Amioun nel nord del Libano a circa 80 km da Beirut. I primi giorni sono serviti a ciascuno per ambientarsi e conoscere nuovi amici volontari della Caritas Lebanon. Scoprire la storia di un popolo, conoscerne le tradizioni, osservare i volti e, penetrati da quegli occhi che cercavano di scoprire a loro volta qualcosa di noi, respirare a piene narici senza perdere nessun profumo capitasse a tiro.
Nei primi giorni di “adattamento” davvero preziosa la testimonianza di Padre Ignace Youssif III Younan che ci ha introdotti all’esperienza raccontando la situazione politico-religiosa del suolo che stavamo calpestando. Non è mancata la visita ad una base militare UNIFIL a Shamaa dove don Paolo, cappellano militare, ha offerto una rilettura dettagliata degli equilibri governativi e militari sottolineando la missio di Operazioni per il Mantenimento della Pace.
Non sono nemmeno mancate, nelle prime ore dal nostro arrivo in Libano, visite guidate capaci di passare dal sacro al profano: il Santuario della Madonna di Quaana, la Madonna di Magahdouche per poi passare alla Valle della Bekaa con la forte devozione alla Madonna di Bechwat e la visita agli scavi romani di Balbaak. Il terzo giorno siamo passati dalla profondità delle Grotte di Jeida alle altezze spirituali di una intera mattinata in preghiera con i volontari di Caritas Lebanon alla Madonna del Libano in Arissa. Fortissima la devozione popolare al Santo nativo del Libano San Charbel a Bakara di cui abbiamo visitato casa natale e monastero. Non poteva mancare il “Giardino di Dio” e la passeggiata nel silenzio tra i maestosi cedri del Libano nella valle di Qadisha. Apparentemente qualche giorno da turista dove i legami si sono saldati e le due Caritas hanno iniziato a far battere il proprio cuore all’unisono.
Davide, di Caritas Internazionalis e CRS, operante sul territorio da otto anni ha dedicato un’intera serata al racconto di cosa fosse il Libano oggi e cosa avremmo incontrato a partire dal campo profughi siariani fino al Summer Camp presso St.Therese School in Amioun, luogo di ritrovo di tanti ragazzi e ragazze del paese.
“In fondo è stato come sentirsi davvero a casa. Sembra di essere stati in Libano una vita”: così Giacomo riassume i giorni di avvicinamento e sistemazione che hanno facilitato le attività del Summer Camp. Cinque giorni ci attendevano immersi tra canti, grida, giochi, pranzi e cene condivisi ma soprattutto notti quasi insonni di 150 bambini. Un’esperienza offerta alle famiglie musulmane e cristiane totalmente gratuita dove i ragazzi dagli otto ai tredici anni hanno avuto modo di crescere insieme. “Non ci siamo mai sentiti fuori posto e mai sentiti a disagio. Noi, come stranieri, in punta di piedi non abbiamo mai vissuto istanti di esclusione a partire dalle famiglie che hanno aperto le loro case ed offerto il loro letto per i primi tre giorni fino agli sguardi di quei bambini che incuriositi si avvicinavano durante il primo giorno di Camp entusiasti al solo pensiero del tanto divertimento che li attendeva”. Gaia si commuove mentre a denti stretti e mentre racconta tutto ciò immagina il suo ritorno a Sant’Angelo dove ricorda di non aver mai avuto problemi con gli stranieri ma da oggi desidera aiutare chi non riesce a superare il pregiudizio e costruisce inutili barriere.
Bene anzi benissimo il collocare all’interno di un’esperienza ludica così avvincente la possibilità di vivere alcuni servizi vicini ai bisogni del prossimo. Ai bambini affiancati da volontari libanesi ed italiani la possibilità di toccare con mano cosa significhi aiutare concretamente seminando piccoli gesti d’amore presso alcune attività commerciali in difficoltà, dipingere le pareti di una moschea vicino a Koura, andare a visitare ammalati e disabili nelle zone più povere della città, pulire la spiaggia ed alcune strade dall’immondizia ma anche e soprattutto ripulire un campetto giochi affinché potesse ritornare al suo pieno utilizzo. Daniele colpito dal ritmo delle attività pomeridiane commenta: “Hanno voglia di provarci… in fondo vogliono verificarsi sulle priorità ed i valori che nella vita non meritano di essere dimenticati. Una boccata d’aria nuova la loro ma anche la nostra che partiti dalla frenesia delle nostre giornate avevamo bisogno di rinnovare la nostra speranza nel poter ricominciare sempre anche dove tutto sembra perso”.
Ecco perché dieci giorni sembrati un’eternità che hanno riacceso in diversi di noi la voglia di tonare a casa semplicemente per “fare”. “Anche se ormai ci stavamo abituando a certi ritmi… siamo tornati tutti perché questa esperienza è stata una parentesi e tutte le parentesi che si aprono devono essere chiuse per servire a qualcosa. Perché non sia una parentesi dimenticata ci impegneremo a portarne il segno in tutto ciò che è quotidiano e talmente frenetico da farci dimenticare che un abbraccio fatto di mani che si allargano batte ogni muro.” Anche Enrico rimane convinto di quanto la famigliarità ci abbia cambiato a partire da quella maglietta rossa con la scritta Caritas Lebanon, per loro profondo segno del nostro “farne parte”, consegnataci come testimonianza di storie personali unite ed intrecciate sotto lo sguardo della Madonna. “Un indumento che porterò con piacere e che mi fa sentire parte. Caritas non è solo la mia seconda famiglia… secondo sarebbe riduttivo: desidero possa diventare la mia famiglia”: parole forti quelle di Sofia seguite da quelle di Luca – operatore della Caritas della Diocesi – che conclude dicendo: “…quella identità che va oltre l’indumento e che nessuno potrà mai portarci via”.
Rientro in Italia, l’aereo tocca quella terra che mi ha visto crescere e dove tutto sembra diverso da ciò che ho appena vissuto. Una cosa è certa e voglio custodirla in me: a chi chiede coraggio, Dio non lo rende coraggioso ma penso semplicemente dia l’opportunità di essere coraggiosi. A chi chiede un affetto e gratitudine penso che Dio non regali solo sentimenti rassicuranti ma l’opportunità di dimostrare amore. Siamo noi questa opportunità.
Don Mario
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