Perdita e riconquista di sé

9 Ottobre 2019

In copertina Ph. Roberto Menardo

Proseguiamo – come Caritas – a dar voce e rilievo alle testimonianze di chi sta animando, in questi settimane, Sconfinati al Festival della Fotografia Etica 2019 a Lodi. Dopo quella di Francesco Holmes, l’operatore italo-americano di Caritas Lodigiana, anima di Sconfinati, vi proponiamo quella di Anthony, ospite di Caritas Lodigiana nel progetto Housing first nonché attore e collaboratore nell’installazione Sconfinati. Una visione quanto mai lucida del trauma che molti migranti vivono durante il loro viaggio e che viene affrontata in Sconfinati in chiave artistica.

Perdita e riconquista di sé

Gli avvenimenti traumatici, che spingono un immigrato, a lasciare il suo paese, insieme al potenziale pericolo del lungo viaggio, e il processo di ricollocamento, aumentano le probabilità, che quest’ultimi soffrano di vari problemi di salute mentale, come il disturbo post-traumatico da stress, depressione, disturbo d’ansia generalizzato (sensazione cronica d’ansia o nervosismo) attacchi di panico, disordine da adeguamento. Tutti questi disturbi, più l’unicità di ogni trauma, da un lato ritardano il già difficoltoso processo d’integrazione e, dall’altro, possono spingere l’immigrato verso l’incarcerazione, la perdita della propria identità culturale, la perdita della rete di sostegno, escludendolo dalla società generale.

Tradizionalmente, l’attenzione della Caritas lodigiana nell’affrontare i traumi e i problemi di salute mentale degli immigrati sul proprio territorio, è stata nel creare varie forme di vita sociale, dalla scuola ad eventi come quello di stasera [Sconfinati, ndr].

I problemi di salute mentale non si risolvono medicalmente, ma attraverso la lingua e la cultura. Praticamente il problema risiede nella corretta identificazione dello specifico disturbo da parte dell’immigrato o dei fornitori di servizi sociali, promuovendo lo sviluppo di una relazione terapeutica. In ogni caso ci sono poche prove sull’efficacia di queste strategie di terapia. Bisogna lavorare molto per lo sviluppo di competenze culturali, attraverso uno screening sistematico dei problemi di salute mentale degli immigrati, per poi implementare interventi basati sulle quelle prove raccolte, a livello personale e a livello comunitario.

Probabilmente uno degli effetti collaterali più significativi dell’esperienza migratoria e di quella della grave marginalità (i senza fissa dimora) e la sensazione del tradimento (di essere stato tradito). Il tradimento della propria gente. il tradimento della politica di quel particolare governo. Il tradimento del mondo in generale. L’essere incompreso e frainteso diventa una parte enorme della vita dell’immigrato, e ha delle significative implicazioni sulla salute mentale, e l’abilita di sviluppare delle relazioni basate sulla fiducia reciproca.

L’esperienza del rifugiato è colma di eventi traumatici, come l’incarcerazione, la tortura, la perdita della proprietà, malnutrizione, violenza fisica, violenza sessuale e la generale perdita del proprio tenore di vita.

Il problema è che il trauma vissuto in precedenza è così forte da annebbiare la comprensione e l’ascolto dei problemi che l’immigrato deve affrontare una volta arrivato a destinazione.

Il rifugiato, nel processo di ricollocamento, deve adattarsi a un nuovo paese (di solito non di sua scelta), a una nuova lingua, a delle condizioni precarie e a un futuro incerto.

Riconquistare il proprio futuro, e la propria identità, mentre si rincorre la vita di tutti i giorni, è un altro problema che i rifugiati devono affrontare. Studi recenti dimostrano che lo stress post-migratorio (problemi che l’immigrato deve affrontare una volta arrivato a destinazione) influenza molto lo stato di salute mentale ed emotiva nei rifugiati, qualche volta in modo simile se non maggiore a i traumi relativi alla partenza. In questo periodo fragile di ricollocamento, dove si raggiungono dei picchi di stress, causati dall’incertezza del presente e i ricordi traumatici, i centri per i rifugiati, gli operatori sociali e sanitari devono fornire gli strumenti per comprendere il sistema, i servizi e la cultura del paese d’arrivo.

Anthony Henry Chidi

 

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Image Credits: Roberto Menardo


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